Esposizione al D406, Modena

25 gennaio – 02 marzo 2025

Sale di Cultura del San Paolo, ex Chiesa e Sala delle Monache

Carlo Zinelli (1916 – 1974) torna a Modena dopo quasi dieci anni dalla partecipazione a Festivalfilosofia 2015, nel Complesso Conventuale San Paolo. 

Si rinnova così il legame fra le opere di Carlo e la città, che già negli anni Cinquanta, grazie alla pioneristica istituzione di un atelier di arte terapia a Villa Igea, promuoveva, con il dott. Mario Marini, una pratica artistica nuova, detta di “libera espressione”, la strada che lo stesso Carlo aveva intrapreso a Verona, nell’atelier dell’ospedale di San Giacomo alla Tomba, affiancato da Mario Marini prima e da Vittorino Andreoli in seguito, per approdare infine al riconoscimento di Jean Dubuffet, che lo consacrerà tra i maestri dell’Art Brut. 

Il Tempo del Finemondo – questo il titolo della passata esposizione, che condensava in un’espressione tipica dell’artista il suo universo compositivo – si trasforma oggi in una nuovo dialogo fra Carlo e uno dei più interessanti e intriganti artisti disegnatori contemporanei, Fausto Gilberti. 

Carlo Zinelli, artista “irregolare”, era stato contadino, macellaio, soldato, matto. 

Nella sua storia di artista non c’era scuola e non c’erano nemmeno maestri, il suo era un talento naturale risvegliato dalla necessità di evadere dall’inedia e dalla segregazione, sollecitato dalla possibilità di guadagnarsi uno spazio vitale, almeno dentro a un foglio di carta, bianco. 

Fausto Gilberti è pittore, disegnatore e autore di libri per adulti e bambini. Ha studiato all’ Accademia di Belle Arti di Brera, è un profondo conoscitore della storia dell’arte e ha iniziato a esporre le proprie opere alla fine degli anni Novanta. È un artista colto e le sue tante pubblicazioni spiegano il lavoro di altri artisti che hanno fatto la storia con linguaggi difficili che, con lui, diventano semplicissimi: i suoi disegni “parlano”.

Carlo, non avendo bisogno di spettatori, orchestrava le sue storie disegnando con la tempera sul foglio unicamente per se stesso, in totale libertà. Il suo segno è sintetico, le sue figure a volte spezzate, immerse in ambientazioni non sempre riconoscibili, protagoniste di vicende incomprensibili. Uomini e donne affaccendati in misteriose mansioni, animali rivisitati e “adattati” a contesti bizzarri; le grandi orbite vuote, che sottolineano una comunicazione impossibile. 

Anche le figure di Fausto sono ridotte al minimo, ma i personaggi stilizzati con occhi grandi e stralunati che si stagliano su fogli bianchi – in cui l’ambientazione è quasi sempre indefinita – hanno orbite “abitate” da piccole pupille curiose che coinvolgono lo spettatore, innescando la sua complicità e trascinandolo nel racconto.

Ed ecco che, inspiegabilmente, si colgono delle affinità tra i due e nonostante le differenze sembrino abissali, si percepiscono dialoghi segreti: la verve narrativa di entrambi (seppure rivolta a interlocutori diversi), la sintesi del segno, il contesto in cui si trovano le figure, l’attenzione all’equilibrio della composizione, la ricerca di una “risoluzione sorridente” della storia. Sì, perché anche Carlo, nonostante il dramma della sua vita, nelle sue storie spesso è alla ricerca di una via d’uscita senza vittoriosi né vinti, disegna una figura buffa o una situazione grottesca, si concede una risata. Fausto sorride sempre, con il suo modo misurato, portandoci con sicurezza alla comprensione dei suoi racconti disegnati. E se il primo dialoga con se stesso, ma riesce comunque a commuoverci con la sua storia, il secondo parte da noi e ci invita a scoprire la vita e l’opera dei grandi artisti con profondità e leggerezza, affermando, se possibile, che disegnare è vivere e dunque anche sorridere.

Lorenza Roverato